giugno 03, 2015

News&Eventi #1 - Sessanta minuti di fase creativa

Nonostante tutto, non sempre si scrive in silenzio e avvolti da nient'altro che la propria immaginazione. Per questo, voglio parlarvi di una recentissima esperienza di scrittura estemporanea, e di quanto essa sia stata sorprendente. 
Il tutto ha avuto inizio quando ho scoperto dell'esistenza di "Eravalò", un festival delle storie, interamente incentrato sull'arte della narrazione, scritta e non. La manifestazione mi aveva convinto fin dal principio, perché si riproponeva di far conoscere, in maniera ricreativa e per mezzo di decine di attività, il mondo del racconto. Ma l'elemento su cui si è soffermata la mia totale attenzione è stato il circolo scrittura estemporanea. Insomma, alle 18.00 del 24 maggio vado. Prima impressione: la scrittura estemporanea non è così difficile da gestire. In pratica, si riuniscono i partecipanti, si assegna loro un tema su cui possono scrivere liberamente e li si fornisce di carta e penna. Stop. Passata un'ora ci si dispone a cerchio, e ognuno rilegge a voce alta il frutto dei suoi sessanta minuti. Dirvi quanto fossi teso sarebbe riduttivo e scontato. 
Giusto il tempo di riunire gli altri partecipanti, e si inizia. Il tema della sessione di scrittura era: Angelina si dava da fare. Ora, visto che il tutto avveniva al centro di una manifestazione pubblico, di pomeriggio e giusto accanto alle attività per i più piccoli, mi è sembrato doveroso non pensare male di questa frase. Così, reprimendo ogni recondito desiderio di tirarne fuori una personalissima interpretazione alla fifty shades, ho deciso di soffermarmi sugli altri significati di quella frase. Darsi da fare significa, dopotutto, impegnarsi a fare qualcosa, senza perdere tempo e senza soccombere alla sensazione di aver perso in partenza. Da qui è nata la mia Angelina, figlia di mie personali esperienze e riflessioni. Ecco cosa ne è venuto fuori:

Angelina era una trama in fibre di aspettativa e belle speranze. In venticinque anni di vita, si era fatta cucire addosso la maschera della persona degna di fiducia.«La ragazza è volenterosa, Angelina si dà da fare.» Non era raro sentire queste parole uscire dalla bocca  grinzosa di nonna Clotilde o da chi altro aveva avuto l'opportunità di conoscere il suo operato. Angelina era una macchina, Angelina era un genio. Angelina era avvolta dal silenzio.Uno squillo sembrò rimbombare nel suo padiglione auricolare. Dalla scatola metallica che era diventata il simbolo di una lotta per l'esistenza, si sentì richiamare all'ordine, come se il fatto di essersi accomodata sul letto, canticchiando tra sé l'ultimo singolo della sua band indie preferita, costituisse un venir meno a quella marionetta di talento che era, morda dai fili invisibili di un imminente futuro. E quella maschera, nel buio fortuito e, per certi versi, benevolo della camera cadde alla notifica di "nuova email da". Le bastò quello squillo per trasformarla in un fascio di nervi. Sperò che quello fosse l'ennesimo messaggio promozionale, un'imperdibile offerta di viaggio che non aveva il tempo di fare. Ma se la speranza era una forza dirompente, capace di abbattere le pareti dello sconforto, in quel momento fu più forte quello strano sesto senso che la colpiva in momenti cruciali della giornata. Si avvicinò allo schermo, che al tocco della tastiera si illuminò all'istante. Quanto le era piaciuto il buio. Lesse il messaggio distrattamente, scorrendo con gli occhi solo alcune parole chiave che racchiudevano in una manciata di lettere un ben più ampio significato. La frase "siamo desolati di comunicarle che" fu sufficiente. Il senso di sconfitta si fece largo nel buio, cavalcando la luminosità del computer, martellando la sua mente con colpi ben assestati e rimbombanti. Sebbene si fossero dichiarati profondamente dispiaciuti di quel nefasto esito, i signori dell'ufficio ammissioni del prestigioso William Turner College mai avrebbero avuto il minimo sentore della reazione che quel messaggio aveva provocato in Angelina.Non pianse. Non lo aveva fatto nemmeno per la morte della madre, quando era solo una graziosa quindicenne in quel di Catania. Di certo, però, l'assalì il dubbio atroce di aver sbagliato i conti con se stessa. Si chiese dove risiedeva il seme del talento, se i suoi frutti ritardavano ad arrivare. Così, fu il senso di colpa e di autocommiserazione, più che vera rabbia, a portarla a indugiare sulla personale lista di siti preferiti. E fu l'abitudine a farle scorrere le informazioni sulle scuole d'arte che in passato le erano sembrate meritevoli di attenzione. Fagocitò contatti e nomi, digerendo scadenze imminenti e improrogabili. In un istante della durata di giorni, ripercorse la prima mostra d'arte della sua vita. In quell'occasione era solo una fanciulla tutta fiori e sorrisi, ma che abbandonava ogni candore di fronte a paesaggi rurali di vecchi e nuovi artisti, il preciso tratto di un ritratto e la convulsa pennellata blu che maestosamente componeva un cielo all'orizzonte. Quel giorno, decise che avrebbe dedicato la sua vita all'arte. Nonna Clotilde, venuta a sapere delle mancate vittorie, avrebbe anche potuto usare il tempo passato nella sua celebre frase: Angelina si dava da fare. Ma lei riconobbe, nel moto di un'onesta autocritica, di non essere perfetta. Il martello che aveva preso a tamburellare la sua mente dal momento in cui aveva letto l'email si placò. Quell'aspro suono ritornò la dolce melodia che aveva canticchiato qualche minuto prima. E ritornò bambina, pronta a commuoversi di fronte al paesaggio della sua esistenza. E tornò a vincere il desiderio, l'amore per l'arte, e con essi la sua forza. Guardò le email che aveva preparato per altri università. Forse altre battaglie sarebbero state perse, probabilmente non possedeva un briciolo di talento. Ma era lì. Si sentiva viva. Accompagnata dal suo respiro, avrebbe tentato ancora.

E pensare che fino a un anno e mezzo fa provavo quasi vergogna a dire di scrivere per passione, figuriamoci farlo in pubblico e far leggere qualcosa di mio a perfetti sconosciuti. Perciò, possiamo dire che elaborare qualcosa per quasi l'intera ora successiva, con gente che mi guardava pensare a come porre una frase non è stato male. Il momento davvero critico è arrivato alla fine, quando siamo stati invitati alla lettura dei nostri racconti. Si era riunita una piccola folla attorno alla postazione, e i rumori del resto della manifestazione hanno richiesto l'utilizzo di un megafono. Avrei dovuto leggere ciò che avevo scritto in pochissimo tempo, senza averlo corretto per bene, davanti a un gruppo di curiosi e con un apparecchio in mano per espandere il volume della mia orrenda voce. Mi sono fatto coraggio, ripetendo a me stesso di non farmi prendere dal panico. E tra qualche tentennamento e un filo perso, ho letto il racconto. L'accoglienza devo dire non è stata del tutto negativa, e di questo ne sono molto felice. Tuttavia, devo essere sincero, "Angelina si dava da fare" non mi piace. Forse, nonostante l'attaccamento personale alle riflessioni del personaggio, non ho idea di come una bozza del genere possa avere futuro né a quali lidi potrebbe approdare, qualora volessi continuarlo. Insomma, in un'ora è nata e morta, povera Angelina. Ma ha servito allo scopo di farmi sbloccare in una situazione particolarmente scomoda. Ho imparato, da questa e molte altre esperienze,  che leggere ad altri e far leggere ciò che si scrive è, come per tutto ciò che coinvolge il lato artistico e creativo, un'ottima palestra per migliorare. E, least but not last, in fin dei conti è stato divertente! :)

Fab

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